Leonardo

Fascicolo 13


Un donatore di sogni
(Carlo Doudelet)
di Gian Falco (Giovanni Papini)
pp. 24-26


p. 24


p. 25


p. 26



   Uno dei nostri piaceri più grandi in questi ultimi tempi è quello di ricercare per ogni dove il desiderio e l'avviamento del ritorno alla vita interna.
   Dopo la crapula naturalista che negò o contaminò tutto quello che era personale, attivo, spontaneo, spirituale, le anime tornano alla contemplazione e alla meditazione, tornano a riporre al centro del mondo i valori interni. E noi non abbiamo scoperti gli annunci e gli inizi di questo ritorno soltanto nei professori anglosassoni o nelle signore italiane ma anche in un semplice e caro artista di Gand, che si chiama Carlo Doudelet e vive da due anni a Firenze, in una operosa solitudine.
   Gli amici del Leonardo non troveranno dunque, in queste pagine, soltanto della filosofia scritta ma anche della filosofia figurata; ì due disegni che Doudelet ci ha donati, e che noi doniamo ai lettori, non sono qui soltanto per ornare le nostre parole, ma anche per completarle e per commentarle.
   Questo fine e dolce fiammingo, amico di Maeterlinck, che vive colla sua buona madre in una via solitaria, in una piccola casa che prospetta un giardino, e che lavora instancabilmente, dall'alba alla sera, fra i suoi disegni, i vecchi libri ascetici e i nuovissimi libri mistici, questo piccolo uomo tranquillo e calmo, dagli occhi di fanciullo e dalla bocca di saggio indulgente: è uno dei più alacri solidificatori e cristallizzatori di sogni ch'io conosca.
   La tradizione pittorica o rettorica fa del sogno qualcosa di confuso, d'indeterminato, di vaporoso. Egli esce da questa tradizione e sa che i sogni sono di una realtà e di una concretezza più intensa del reale concreto della veglia, in modo che i suoi sogni sono veramente più solidi, più cristallini, più tangibili di visioni giornaliere.
   Invece di avvolger il sogno fra i vapori crepuscolari o notturni egli lo impone all'occhio, limpido, sicuro, rigido e definito come qualcosa che viva in una realtà più reale, in una super-realtà. E per dargli questo aspetto esso toglie dalle cose tutto ciò ch'è accessorio, ch'è passeggero, ch'è contingente e particolare; e intensifica ed esagera quello ch'è profondo e sostanziale. Egli non ci offre nè la fotografia nè la caricatura del reale ma, direi, la metafisica del reale.
   La sua arte, perciò, non è tanto letteraria, come dicono, quanto filosofica. È per questo forse ch'è riuscito così perfettamente ad interpretare le opere di quel suo amico che non è solo poeta ma anche un moralista ed un mistico, cioè di Maurizio Maeterlinck.
   Le sue immaginazioni sono così al di fuori delle cose e così assolute come delle formule spinoziste o fichtiane, sembra che non vivano nel mondo delle cose ma nel mondo più sottile ed etereo che specchia le cose, nel mondo platonico alessandrino e teosofico delle Idee madri. Le sue figure non sono uomini, non sono donne, non sono animali, ma idee di uomini, anime di donne, archetipi di animali. Per questa loro mancanza di vita terrestre non hanno relazioni fra loro: i personaggi di Doudelet anche quando sono in folla vivono in una solitudine morale, non sono esseri sociali. Per questa ragione essi mostrano nei lineamenti così semplici e precisi una vita interna così straordinariamente intensa, e sappiamo con certezza che se parlassero non saprebbero o vorrebbero dirci tutto e che attraverso le loro parole indifferenti o comuni noi sentiremmo la sinfonia continua della vita solitaria, favolosa, profonda, spirituale. Parlerebbero insomma come le figlie del poeta amico, come la soave Alladine o la misteriosa Selysette.
   Carlo Doudelet ci apre dunque le porte del mondo leggendario, sognante e metafisico ch'è al di là del mondo di ognuno, e in questo mondo ci mostra attraverso i segni sicuri la sapienza della solitudine e la bellezza della interiorità. I suoi strani sacerdoti, i suoi ciechi vaganti, le sue donne finissime e verginali, i suoi cavalieri dalle strane armature vengono a dirci quello che altri uomini dicono con parole e con teorie. Carlo Doudelet è una voce nel coro dei reduci alla patria dello spirito. Per questo l'accogliamo fraternamente fra noi, perchè ci aiuti nella nostra opera di ritrovamento e di risvegliamento.
   Come noi, egli aspetta. Uno degli ultimi suoi quadri, le Rêve du Berger, raffigura un giovine pastore che dorme in un piccolo piano erboso framezzo alle montagne. Tre piccole pecore bianche dormono accanto a lui, coi musi fra le zampette. Il pastore sogna e gli sembra che le montagne intorno si siano fatte più grandi, più alte, più stranamente luminose, quasi diafane, tanto che traspaiono quelle lontane sotto le più vicine. E, in fondo, nel cielo cupo, gli pare che le stelle siano più prossime, più brillanti, più ardenti e che un astro rosseggiante le guardi.
   L'artista ha riprodotto sulla tela tutto il sogno del pastore come se fosse realtà esterna quello che per tutti è immaginazione interna. Ed io penso che quel pastore sia l'anima che attende sognando che si faccia realtà perpetua la sua fantasia creatrice. Se oggi le pecorelle destassero il pastore coi loro belati la meravigliosa visione scomparirebbe. Ma le pecorelle son sagge e non svegliano il buon dormiente. Esse attendono, come lui, la magica alba in cui l'uomo non avrà bisogno di sognare o di colorire i suoi sogni per essere dio.

Carlo Doudelet è nato a Lilla da famiglia belga, nel 1861. Fanciullo tu portato a Gand ove studiò fino al Liceo. Nel 1877 dei rovesci di fortuna lo costrinsero a lasciar le scuole e a cercarsi un guadagno. Fu impiegato, fotografo e disegnatore di microscopia. Ma l'arte era il suo sogno: una prima esposizione di disegni suoi piacque, ebbe un sussidio e potè vedere Parigi e l'Italia. I nostri primitivi lo rivelarono a sè stesso. Nel I891 tornato nel Belgio espose ancora ma il pubblico si rivoltò e non comprese. Ma egli continuò a lavorare, senza scoraggiarsi: fece delle ricerche erudite, illustrò libri, collaborò a riviste. Finalmente nel 1902 ha potuto stabilirsi a Firenze ed è così felice che non vorrebbe più lasciarla. Carlo Doudelet è un gran lavoratore: egli ha illustrato molti libri, di Maeterlinck sopratutto, ne ha scritti per proprio conto e prepara un gran libro sul Libro. Ultimamente ha esposto a Roma al Bianco e Nero, e a Firenze all'Esposizione al Palazzo Corsini, dove le sue opere sono state molto discusse e ammirate.


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